Il Teatro Stabile del Veneto cala i suoi assi: ampliamento regionale, risorse private, attenzione ai giovani e alle città. L'intervista a Giampiero Beltotto, presidente del TSV, che traccia bilanci e ipotizza scenari futuri.
Nuove prospettive e tante idee in cantiere per il Teatro Stabile del Veneto che, dopo l’esclusione dal novero dei Teatri Nazionali, ritrova un’iniezione di fiducia nel gradimento del pubblico costantemente in aumento e in un orizzonte di teatro diffuso che guarda alla regione nel suo complesso.
Se ne fa alfiere coraggioso ed energico il presidente Giampiero Beltotto, al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Qual è stata la risposta artistica e progettuale del TSV dopo l’esclusione dai Teatri Nazionali?
L’esclusione dai Teatri Nazionali è un episodio di burocrazia e in quanto tale ci tocca molto relativamente. Noi abbiamo continuato come sempre, abbiamo fatto quello che sappiamo fare e cioè del buon teatro. Al di là della burocrazia, infatti, l’unica distinzione davvero valida per chi si occupa di teatro è semplicemente tra chi fa buon teatro e chi fa del cattivo teatro. Tutto qui.
Noi continuiamo ad offrire le nostre proposte teatrali diversificate, con produzioni capaci di toccare tutti i palati, perché le uniche esigenze sono e restano quelle del pubblico. La vocazione al teatro non può essere che questa. E la risposta del nostro pubblico sempre più numeroso, a Venezia come a Padova, lo dimostra.
Parliamo appunto delle “gambe” del TSV. Oggi Venezia e Padova, ma quali ampliamenti si profilano all’orizzonte?
Il TSV deve guardare necessariamente a un ambito regionale. Siamo il primo soggetto istituzionale del Veneto e dobbiamo farci promotori di una piattaforma dello spettacolo dal vivo che coinvolga più soggetti possibili. Ne abbiamo in qualche modo la responsabilità. L’esempio dell’Emilia Romagna, oltre che contiguo al nostro territorio, è in questa direzione assolutamente vincente.
Con l’amministrazione di Treviso gli accordi sono ormai a buon punto e un passo alla volta riusciremo a trovare un’intesa anche con altri capoluoghi di provincia. D’altro canto, in quella che è l’attuale geografia teatrale chi può davvero pensare di farcela da solo?
Ma questo sistema di teatro diffuso, guidato da un soggetto molto forte come il TSV, non porta con sé il rischio che le realtà più piccole perdano spazi e occasioni?
E’ per questo che ho parlato di responsabilità. Noi siamo il soggetto istituzionalmente più forte e dunque con maggiori oneri in tal senso. Ma c’è un dato reale, il pubblico sceglie il TSV per le sue programmazioni e le sue proposte. Un allargamento allora non può che voler dire maggiore spazio per tutti. Intendo dire, se si fa più teatro e la gente risponde, allora le occasioni si moltiplicano e si aprono spazi di espressione per un maggior numero di realtà, grandi o piccole che siano. Ecco perché dobbiamo invertire il modello Emilia Romagna, modello valido ma sostanzialmente basato sul finanziamento pubblico.
Il TSV cercherà di costituire una piattaforma regionale unica per lo spettacolo dal vivo, dove però l’elemento privato si ritagli un ruolo consistente.
Qui la programmazione del TEATRO GOLDONI di Venezia.
Qui la programmazione del TEATRO VERDI di Padova.
I privati appunto. I privati vuol dire pubblico, ma non solo. Quali sono le mosse in questa direzione?
Il pubblico è di certo la nostra più grande risorsa: a Padova nel periodo natalizio sono state vendute più di 750 Gifty Card in pochissimi giorni. Questo è il segno tangibile che il pubblico non si riconosce solo nel ruolo di passivo spettatore, ma anche in quello di fruitore attento e consapevole. Ed è la strada che dobbiamo percorrere. Non più pochi mecenati in grado di impegnare grandi risorse, ma l’intero popolo veneto che diventa fisicamente padrone del teatro.
Su questo principio si innesta l’idea di una Public Company: il Teatro Stabile del Veneto offrirà servizi in cambio di quote di partecipazione. L’obiettivo è quello di arrivare a 5000 soci, che potranno eleggere un loro rappresentante in seno al Consiglio di Amministrazione. Questa non è solo un’ipotesi, ma un modo concreto di rendere il pubblico “proprietario” del teatro.
Parliamo dei giovani. Quale spazio riserva il TSV ai giovani? Nella tabella di valutazione del Ministero questa voce era apparsa come un fattore di debolezza.
A volte mi chiedo da quanto tempo certi burocrati non mettano piede nei nostri teatri. La presenza dei giovani al Goldoni di Venezia come al Verdi di Padova è nettamente in crescita. C’è un pubblico giovane e curioso che affolla le nostre sale, come si è visto ne La Bisbetica Domata andata in scena a Venezia due settimane fa, perfino nella replica della domenica pomeriggio di norma frequentata da un pubblico più âgée.
Mi piace poi ricordare che l’attenzione ai giovani passa anche attraverso la nostra Compagnia dei Giovani, under trentacinquenni che si formano e lavorano con noi. A loro, per esempio, sarà affidato l’evento per il quarantennale del Teatro Goldoni di Venezia che si svolgerà nel mese di aprile.
In una città come Venezia, il TSV vive una sorta monopolio. Non ci sono altre sale con programmazione regolare in grado di essere concorrenziali. Quali sinergie con la città è necessario trovare?
Ancora una volta devo richiamarmi a quella responsabilità cui ho già accennato. Noi abbiamo il dovere di cercare punti di incontro continui con una città come Venezia. E’ bello vedere la città che va a teatro, e di questo siamo fieri, ma le vere sinergie nascono quando è il teatro che invade la città, trovando spazi alternativi che diventino teatrali. C’è un progetto in questo senso, con l’intesa dell’amministrazione cittadina, di portare il teatro anche in luoghi non canonici e fisicamente lontani dal Goldoni. Lo si faceva nella Milano tra gli anni ’50 e ’60, geniale intuizione di Paolo Grassi, può accadere benissimo nella Venezia di oggi.
Far vedere il teatro fuori dal teatro è un modo per far venire la gente a teatro. E mi creda, questo non è affatto un gioco di parole.